I monasteri grandi artefici della birra

I monasteri grandi artefici della birra

Da sempre ed in ogni angolo di mondo gli ordini religiosi hanno primeggiato in molti campi: da quello culturale a quello, più prosaicamente, alimentare. La birra prodotta da frati, suore e monaci era ed è con ragione considerata tra le migliori. In Europa fortunatamente vi sono ancora alcuni monasteri in piena attività birraria. Nella foto sopra: due monaci dell’Abbazia Notre Dame du Refuge di Zundert, Olanda.

Le prime notizie certe sulla produzione di birra nei monasteri ci pervengono proprio da Bobbio, in provincia di Piacenza.

L’abbazia di Bobbio venne fondata nel 620 da San Colombano, da cui prese il nome, missionario benedettino irlandese, dove si racconta accadde un miracolo:

Già era l’ora di cena quando si preparano le brocche di birra, prodotta dal succo di frumento o di orzo.

Il frate addetto alla dispensa era andato in cantina, aveva posto una brocca sotto la botte ed aveva tolto il tappo per farvi defluire la bevanda.

In quel momento il Santo lo chiamò ed egli, devoto com’era, dimenticando di mettere il tappo corse da lui.

Alla birra pensò solo dopo aver eseguito l’ordine impartitogli e quindi tornò in tutta fretta in cantina, certo di trovare la birra scorrere sul pavimento.

Ma il miracolo avvenne, la brocca era piena, non una goccia fu versata”.

monasteri

Il primo Ordine monastico fu fondato da San Basilio.

Geronimo, Ambrogio, Paolino da Nola, Martino di Tours furono i primi monaci del mondo occidentale e Basilio, nato nel 330, creò il primo ordine monastico.

Venne poi il Patrono d’Europa, Benedetto da Norcia.

Dal Sacro Speco uscì per fondare, nel 529, il Monastero di Montecassino il primo di una numerosa rete di monasteri in tutta Europa.

Era nato a Norcia nel 480, subito dopo la fine dell’impero romano occidentale.

Odoacre era stato nominato Re degli eserciti transalpini in Italia ed il Cristianesimo stava sempre più consolidandosi in Europa, ma Benedetto vedeva nell’ascetica vita monastica l’unica salvezza per sottrarsi alle tentazioni che il Cristianesimo del mondo politico già allora offriva, con i suoi intrighi e le sue incoerenze: i suoi monaci avrebbero continuato il vero Cristianesimo, quello della rinuncia ai beni temporali e quello della vita fondata sul lavoro, sulla preghiera e sulla fraternità.

Nel suo editto, S. Benedetto non prescrive la quantità di bevande che vengono concesse al monaco.

“Ognuno è dotato da Dio a suo modo. È perciò con un certo timore che si può stabilire una misura nell’alimentazione.

Riteniamo che una «emina» (circa un mezzo litro) di vino al giorno possa bastare.

Mase ci si asterrà anche da essa, Dio saprà ricompensare questa rinuncia, poiché il vino induce al peccato anche i saggi. E se in una regione non si può avere il vino del tutto non si brontoli, ma bensì si cantino lodi al Signore!”

Ecco forse la ragione per cui da allora i Benedettini diffusero e consumarono fiumi di birra!

L’insegnamento benedettino si diffuse relativamente in fretta in tutta l’Europa e venne poi riflesso dall’Irlanda verso il continente, dapprima con San Colombano alla fine del 500, che fondò monasteri in Francia e in Italia (Bobbio) e poi con San Bonifacio (al secolo Winfrid), al quale il Papa Gregorio II diede nel 719 l’incarico di convertire al Cristianesimo la Germania.

L’Irlanda del sud era già cristiana dal 636, mentre quella del nord lo divenne nel 697.

La biografia di San Colombano, scritta nel 642 da Jonas da Bobbio, racconta che chi versava la birra sulla tavola doveva stare in piedi per tutta la durata del coro notturno e che chi ne versava una misura intera, per un bel po’ di tempo doveva accontentarsi a tavola di bere acqua.

In quei tempi i monasteri talvolta ospitavano centinaia di monaci e decine di migliaia di pellegrini all’anno, consumando perciò ingenti quantità di birra. I monaci stessi avevano a disposizione una razione giornaliera di 3-4 litri.

La birra infatti era parte integrante dell’alimentazione base, tanto più che lo sforzo fisico a quei tempi era notevole e protratto per molte ore al giorno.

La birra, con il suo basso contenuto d’alcool e la sua ricchezza di sostanze dieteticamente importanti quali i sali minerali e le vitamine, oltre ad altre sostanze organiche ed ai carboidrati, era per i monaci, abituati ai rigori della vita religiosa ed alla sua dieta, ciò che permetteva loro di affrontarne i sacrifici con spirito accorato.

Tanto più che l’acqua, in special modo nelle pianure, era un pericolo per la salute dell’uomo, il quale ricorse ben presto a bevande naturali fermentate, (vino e birra so prattutto) che, per loro composizione, non contengono batteri patogeni.

L’editto di San Benedetto stabiliva che tutto, quindi anche la birra, venisse prodotto nel monastero stesso, affinché i monaci non dovessero assentarsi.

Perciò l’attrezzatura delle più grandi comunità di quei tempi era molto più perfezionata di quella all’esterno dei monasteri, dove la birra veniva prodotta per usi famigliari o di comunità assai piccole.

I monaci poi si dedicavano con maggior devozione e razionalità al loro lavoro perfezionandosi sempre più sino a diventare autentici maestri e creando scuole birrarie, tuttora famose (Weihenstephan, Louvain).

Malgrado la diffusa coltura della vite, nei monasteri d’Italia, Francia e Spagna, accanto al vino usato per il culto, troviamo la birra, fin dai tempi dei primi monasteri di tutte le altre regioni d’Europa.

Così Isidoro di Siviglia, morto nel 636, nella sua opera sul significato delle parole Etymologiarum libri XX racconta come ci si ristorava e rinforzava con la birra “sed suco tritici per artem confecto, quem sucum a calijaciendo caeliam vocant”.

Notizie precise sulla produzione di birra ci pervengono da Ekkehard IV, poeta e storico ben noto nel San Gallo, sul versante occidentale del lago di Costanza. Nei suoi libri Casus Sti Galli e Liber Benedictionum descrive come l’Abate nell’820 progettò un nuovo monastero per alcune centinaia di monaci, poiché il vecchio era ormai troppo piccolo per ospitare i tanti pellegrini che vi si recavano; non esistevano alberghi e San Gallo era diventato un centro di commercio molto importante.

Il nuovo monastero aveva al lato della chiesa e delle celle dei monaci, le scuole, le biblioteche, le infermerie, i dormitori per i pellegrini, i giardini ed un gran numero di locali d’economato, che comprendevano quelli a disposizione degli artigiani e dei commercianti, i quali fornivano il monastero e ne vendevano i prodotti.

Ovviamente era prevista anche la fabbrica di birra, anzi queste erano tre: la più grande forniva birra ai monaci ed ai braccianti del monastero, la seconda era per la birra destinata ai pellegrini e la terza ne produceva per gli ospiti di riguardo e per gli allievi delle scuole.

Questa frabbrica si trovava infatti tra la foresteria dell’Abate e le scuole; i mugnai, i panettieri ed i bottai facevano parte di questo gruppo.

Si producevano due tipi di birra: una «celia», forte, prodotta con orzo e forse frumento ed una «cervisia» d’avena; il luppolo, in quella zona, cresceva spontaneo e rigoglioso.

Anche nella coltivazione del luppolo il merito dei monasteri fu grande.

L’abbazia di S. Denis, presso Parigi, aveva i suoi «humlonarias» donati da Re Pipino e nel IX secolo l’abbazia di S. Germain Prés cita tasse pagate in forma di luppolo.

Anche nell’abbazia di Corvey si parla di luppolo già nell’ 822, quando ancora per lungo tempo i birrai laici non ne introducevano l’uso.

Pure del IX secolo erano noti i giardini di luppolo del monastero di Freising e del 1031 quelli di Emmeran presso Straubing e di Regensburg sul Danubio.

Sulla qualità della loro birra non si sa molto, ma si suppone che fosse buona, poter far fronte alla concorrenza del vino che in quelle zone era noto per la qualità eccellente.

Si sa che, in quel tempo, di orzo se ne coltivava poco e le birre erano per lo più prodotte con avena, l’orzo era riservato le birre «premium».

Santa Ildegarda, figura storica nel mondo birrario ma anche in quello scientifico, Badessa di Bingen, non usava luppolo.

Era una donna tanto importante e tanto famosa da meritarsi l’emissione di un francobollo dedicato al pensiero europeo da parte del Principato del Liechtenstein.

Nata nel 1098, Ildegarda, fin da bambina esile, dovette per tutta la vita lottare contro i malanni – e bere molta birra – per raggiungere poi la venerabile età di 82 anni.

La sua fede e la sua inflessibile volontà di servire nella completa dedizione Dio, fecero di lei una delle figure femminili più importanti dell’Europa di tutti i tempi, ed a lei i grandi nomi della storia si confidavano ottenendo preziosi consigli, compreso Federico Barbarossa, al quale la Santa non risparmiava critiche ogni qual volta egli le capitava a tiro!

Quale donna manager che precorreva i tempi dell’emancipazione, reggeva due monasteri, quello di Bingen e quello di Eibingen, da lei fondato nel 1165.

La sua opera è vastissima: basta ricordare il Liber Scivias, il Liber vitae meritorum, il Liber divinorum Operum, le sue poesie, la musica gregoriana delle sue composizioni, ma soprattutto il suo trattato di medicina che la colloca quale fondatrice della storia naturale scientifica tedesca.

Si era negli anni in cui venne fondata la prima università europea, quella di Bologna (1119), circa 200 anni dopo la fondazione della scuola Salernitana (di medicina). Nel Liber subtilitatum viene a galla il suo grande interesse per l’effetto farmaceutico di molte erbe.

Scriveva in questo, a proposito delle birre, che meglio del luppolo, «che rende malinconici», si prestano le foglie di frassino, «che rendono il seno leggero e morbido».

La birra, nei suoi monasteri, veniva consumata come in quelli dei monaci, i quali però, non traendo dalle foglie di frassino alcun vantaggio, continuarono a coltivare e ad aggiungere alla loro birra ingenti quantità di luppolo.

La continenza era una regola fondamentale nell’ambito monastico ma il consumo di birra era molto diffuso fra i monaci in quanto era ritenuta una bevanda salutare.

Di un altro monastero e della sua badessa si parla nel Monumenta Germaniae:

«In attesa di una visita del Beato Valdeberto si preparò della birra fresca (probabilmente aromatizzata con luppolo).

La suora addetta alla preparazione si accorse però di non averne ottenuta abbastanza per riempire la botte e temendo perciò si guastasse, chiese consiglio alla badessa.

Essa le ordinò di travasarla in recipienti più piccoli.

Tornata in cantina, la suora però trovò, con molta sorpresa, la botte colma di birra: altro miracolo!

Molte annotazioni di visite fatte fra il 1370 da parte dell’Abate e del suo segretario nei monasteri delle suore cistercensi di Landshut, Augsburg e altri, fanno notare come tutti questi monasteri erano dotati di fabbriche di birra.

La sala di cottura era separata dal convento e poteva quindi essere gestita da un mastrobirraio laico, mentre il resto era incorporato nel convento ed erano le suore stesse a svolgere il lavoro.

Così non solo i Benedettini si dedicarono all’arte birraria anzi, quando questi si approfondirono vieppiù nello studio, trascurando il lavoro manuale, i Cistercensi, più conservatori, si attennero alla regola Bendettina, onorando ancora I lavoro.

Nel XII e XIII Secolo riportarono i monasteri all’autogestione delle terre, dall’affitto introdotto dai Benedettini.

I monasteri Benedettini erano proprietari di beni e potevano quindi costruire fabbriche per produrre beni di consumo dalle loro materie prime e quindi commercializzarli; nel 1181 iniziarono la mescita della loro birra al pubblico.

Non così fu per altri ordini, quali: Francescani, Domenicani, Carmelitani, Capuccini, i quali vivendo di elemosine, raramente avevano i mezzi per costruirsi le loro fabbriche.

Ma la birra era determinante agli effetti della loro salute fisica visto che il cibo, senza vino, uova, latte, burro, con poco pesce di cattiva qualità era decisamente scarso.

Perciò se la facevano produrre da Braumeister laici, oppure la producevano nelle fabbriche comunali con l’orzo ed e luppolo ottenenuto con la questua.

A Monaco di Baviera, dove i Francescani si insediarono già nel 1221, fuori delle mura a St. Jakob, ottennero nel 1284 un nuovo grande monastero nelle vicinanze della residenza del duca Ludovico detto il severo», che li voleva avere sempre vicini.

Questo monastero francescano fu costruito con all’interno una fabbrica di birra e godette di ogni sorta di privilegi, avendo dimostrato di saperne produrre una qualità molto apprezzata e richiesta.

Ai Francescani non era concesso di vendere la loro birra agli estranei, ma in verità né il governo né i santi monaci presero mai alla lettera tale legge fino a che, nel 1751, un’ordinanza del principe permise la vendita di birra a chi si recava al convento per la festa di S. Francesco da Paola.

Questa festa, che in sè cadeva il 2 aprile, durava otto giorni.

La birra che si consumava in quella stagione era la più forte, perché era l’ultima prodotta prima della pausa dell’estate che iniziava a S. Giorgio, il 23 aprile, e durava fino a S. Michele 29 settembre, giorno in cui poteva riprendere la lavorazione.

Nel frattempo era vietato produrre birra, per il pericolo che inacidisse a causa del caldo.

Questa birra di marzo e di aprile, bevuta così fresca era la migliore e per i Francescani era un grosso affare.

Per poter superare 5 mesi di cantina le birre dunque venivano prodotte molto forti: nel 1793/94 da 2110 hl di orzo si sono prodotti 3153 hl di birra! Da un ettolitro di orzo dunque (ca. 70 kg) si producevano 150 litri di birra, mentre oggi, se un Braumeister non ne produce almeno 300 è meglio che cambi mestiere.

Stessa cosa per il luppolo: in quell’anno, per 20 ettolitri vennero consumati 15 kg di luppolo per la birra invernale e 18 kg per quella estiva.

Comunque erano altri tempi, non si badava ai costi di produzione, bastava tener conto delle entrate e delle uscite e le entrate, i monaci sapevano come ottenerle.

La birra dei Francescani divenne ben presto famosa e tuttora viene chiamata «Salvàtor».

Veniva richiesta da lontano e, malgrado il divieto di commercializzazione al di fuori della settimana di cui si è parlato, veniva fornita a varie corti, prima fra tutte quella del Duca di Monaco.

L’ordine dei Gesuiti, ultimo creato (1531) non poteva esercitare il commercio in alcun modo.

Ma per la birra venne concesso ai suoi collegi di produrla e venderla in Baviera ed in Polonia fino quando, nel 1773 questo ordine fu soppresso.

Le fabbriche passarono allora all’ordine della Croce di Malta, fino a che anche questo, nel 1808 fu sciolto.

Così, ancor oggi, alcune di queste fabbriche sono in possesso dello Stato o di privati.

Se attualmente esistono solo pochi monasteri che esercitano la fabbricazione della birra, è dovuto al fatto che nel secondo millennio essi ebbero molte difficoltà.

La forte riduzione dei consumi di birra, dovuta al basso prezzo del vino tra XIV e XVI Secolo fece si che la qualità della birra scadesse paurosamente e fu giocoforza che la gente preferisse il frutto di Dio Bacco.

Molte fabbriche dell’Europa del sud cessarono l’attività ed anche i conventi non ebbero più interesse a produrre birra per i pellegrini.

Nel Nord-Europa però non v’erano vigneti e la birra mantenne la sua importanza, e in quella zona i conventi non sono mai stati abbandonati.

Poi venne il XVI Secolo: Carlo V perseguitava i francesi con le sue guerre e anche i contadini si misero a farsi guerra fra loro, vi fu un gran pasticcio e le vigne soffersero talmente da rendere la birra nuovamente competitiva nell’Europa meridionale e centrale.

Ma anche le fabbriche di birra erano state trascurate per due secoli e furono nuovamente i monaci a rimboccarsi le maniche e a mettere in funzione impianti più perfezionati ed efficienti.

Presto però iniziò anche l’industrializzazione e sorsero le prime fabbriche gestite da imprenditori privati, che controllarono, in gran parte, il mercato della birra.

Subentrò il razionalismo di Cartesio, la rivoluzione industriale inglese, la rivoluzione francese e il 25 febbraio 1803 i monasteri della Baviera vennero secolarizzati.

La loro attìvità venne così a cessare e le fabbriche passarono in parte a privati poiché alcune di queste godevano di grande fama per la loro birra e per il loro Braumeister.

Un esempio è la birra Salvàtor, che ancor oggi si può gustare a Monaco di Baviera.

Tutte le fabbriche di birra dei monasteri, ancor oggi in attività, godono di ottima fama per la qualità della loro birra.

Ne sono rimaste oggi poche, un ventina in tutto il mondo, mentre secoli fa erano molte centinaia, ma rimane innegabile che i monasteri abbiano svolto, nel corso della storia, un grande ruolo nel miglioramento e nella diffusione di questa bevanda.

Testo estratto da Storia e tradizione della Birra di Gino Späth.

pubblicato by dammiunabirra.it

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